Le mutilazioni genitali femminili coinvolgono l'asportazione parziale o totale degli organi genitali esterni.
Tali interventi manipolativi, eseguiti da pochi giorni dopo la nascita fino all'età dell’adolescenza, non rientrano in un discorso terapeutico ma in una cultura ancestrale tramandata da millenni.
Ancora oggi si praticano nonostante alcun testo sacro indichi tale pratica come necessaria.
Sono pratiche che violano i diritti umani fondamentali, come il diritto alla vita, alla salute, all’integrità fisica, alla libertà e alla sicurezza personale, alla protezione da trattamenti crudeli e degradanti, alla protezione da ogni forma di discriminazione sessuale.
Per ricordare la Giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili, ne parliamo con Marilena Bertini della Commissione solidarietà OMCeO Torino, volontaria Amref e referente GrIS Piemonte.
Le mutilazioni genitali femminili (MGF) riguardano anche il nostro Paese. Abbiamo una misura del fenomeno?
Di certo, in Italia, con i flussi migratori sono sempre più le donne che hanno subito questa pratica.
Conoscere la dimensione reale del fenomeno sarebbe utile per formulare politiche efficaci. Ma al momento non abbiamo indagini e ricerche sulle MGF, né esiste un sistema di tracciamento sistematico e coordinato.
Inoltre, i dati a disposizione sono approssimativi trattandosi di un fenomeno del tutto sommerso e difficile da accertare.
I dati dell'Università Bicocca di Milano stimano che in Italia nel 2019 fossero circa 87.600 le donne, tra i 15 e i 49 anni, sottoposte a MGF.
Molte sono state escisse nei Paesi di provenienza, ma una fetta non irrilevante – tra neonate, bambine, adolescenti e ragazze adulte – sarebbero state sottoposte alla mutilazione nel territorio italiano.
Secondo una ricerca dell'Istituto europeo per l’uguaglianza di genere sulle mutilazioni genitali femminili nell’Unione europea, si stima che in Italia dal 15 al 24 per cento delle ragazze siano a rischio di questa pratica su una popolazione totale di 76.040 bambine e ragazze minorenni provenienti da Paesi in cui si pratica la mutilazione genitale femminile.
Sono perlopiù ragazze provenienti dall'Egitto e, in misura minore, originarie del Senegal, Nigeria, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Etiopia, Sudan e Guinea.
Come si pone la deontologia medica nei confronti delle MGF?
Sono rituali che chiamano in causa la discriminazione delle donne e al tempo stesso un abuso su minori, e che infrangono l'etica professionale medica trattandosi dell'amputazione di organi sani.
Anche se effettuate in ambiente sanitario, nel rispetto degli standard di sicurezza e delle più elementari norme igienico-sanitarie, le MFG violano il precetto medico "non nuocere".
Possono causare danni fisici e psicologici gravi e persistenti, influendo sulla salute delle ragazze.
Alcuni danni sono immediati e a volte fatali: emorragia, shock, infezioni, tetano, lesioni alle articolazioni e arti superiori e inferiori procurate nel tentativo di immobilizzare le bambine e le ragazze durante l'intervento.
A questi si aggiungo danni sul lungo termine: infezioni gravi, fistole, ascessi, cisti, cheloidi, ritenzione, incontinenza urinaria, dismenorrea, dolore alla minzione, rischio di aids ed epatite B e C.
Sono comuni le disfunzioni sessuali e difficoltà nei rapporti sessuali e quando, nonostante questa difficoltà, la donna rimane incinta è maggior rischio di complicanze al parto, per esempio di emorragia post partum, di rianimazione e mortalità del neonato.
Questo quadro si associa a disturbi psicosomatici e mentali, stati d’ansia, depressione, nevrosi, attacchi di panico, sindrome post traumatica, bassa autostima.
In che modo l'Italia affronta questa problematica? Quali iniziative sono state implementate?
L'Italia è attivamente impegnata nella lotta contro le MGF, sia sotto il profilo della prevenzione e della protezione sia sotto l’aspetto del contrasto con azioni e strategie adottate a livello unilaterale, multilaterale, sovranazionale e internazionale.
Il nostro Paese ha sottoscritto la "Risoluzione per la messa al bando universale delle MGF" adottata dall'Assemblea della Nazioni Unite nel 2012 e la ratifica di numerose convenzioni internazionali ed europee.
Inoltre, nel 2006, la legge italiana n. 7/2006 (Art. 583 bis e 583 ter c.p.) ha introdotto una regolamentazione speciale al fine di "prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di MGF quali violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine".
Oltre ad azioni penali, la legge obbliga programmi di prevenzione e di assistenza per le vittime delle MGF e il monitoraggio dei casi presso le strutture sanitarie e i servizi sociali, anche con l’istituzione di un numero verde del Ministero dell'Interno dedicato: 800300558.
Chiunque rischi una MGF (anche minore non accompagnata) o genitore di una figlia a rischio di MGF o attivista perseguitata per '’impegno contro le MGF nel suo Paese può chiedere asilo e lo status di rifugiato.
Come intercettare per tempo le bambine o ragazze a rischio per salvarle dalle MGF?
Molte comunità praticano le MGF nei primi anni delle bambine e ragazze, principalmente tra i 4 e i 14 anni di età.
In un'ottica di prevenzione e della loro tutela bisogna prestare molta attenzione ai viaggi sospetti di giovani di questa età nel Paese di origine se ad alta incidenza di MGF.
Molte famiglie infatti tornano alla loro comunità per sottoporre le bambine al rito tradizionale.
Il personale scolastico e quello sanitario, in particolare i pediatra di famiglia e gli operatori dei centri vaccinali ai quali si possono rivolgere per i viaggi internazionali, possono svolgere un funzione sentinella considerando con attenzione la provenienza e la comunità della famiglia, e facendo attenzione a segnali sospetti; per esempio se le bambine riferiscono che devono diventare come la sorella o la madre, se dopo la vacanza sono assenti a scuola per un lungo periodo, se hanno difficoltà nella minzione e stanno tanto in bagno, se hanno dolore e cicatrici, se sono visibili cambiamenti di postura, diminuzione della concentrazione, dei risultati scolastici se rifiutano di fare sport.
Cosa si è fatto e si sta facendo in Piemonte per contrastare questo pratica?
Da molti anni sono stati fatti percorsi formativi al personale socio-sanitario e dal 2021, presso il CeMuSS - Centro multidisciplinare salute sessuale di Torino, è attivo un ambulatorio MGF per la prevenzione e il contrasto di queste pratiche.
Il centro lavora in stretta collaborazione con l'Asl, Amref, il territorio e le associazioni, mediatori culturali, avvocati e centri d’ascolto.
È un’iniziativa innovativa e di grande potenziale a livello regionale, il cui obiettivo è proprio quello di accompagnare queste donne in un percorso di aiuto sia sanitario che culturale e burocratico.
Ci sono altre iniziative in Italia?
Sì, ad esempio, il progetto P-ACT terminato lo scorso anno che ha operato nelle città di Milano, Padova, Torino e Roma.
Era un progetto di Amref Health Africa sulla prevenzione e presa in carico socio-sanitaria delle minori vittime a rischio di MGF, vittime o a rischio di mutilazione genitale femminile, attraverso un approccio multidisciplinare e multisettoriale.
Attualmente, sempre nelle stesse città, è attivo un altro progetto Y-ACT – Youth in ACTion for change, coordinato da Amref Health Africa, che coinvolge giovani e comunità per promuovere cambiamenti duraturi e trasformativi, tramite percorsi formativi e di empowerment dei giovani, dialoghi e impegni intergenerazionali, iniziative di sensibilizzazione nelle comunità.
Estratto dell'intervista a Marilena Bertini pubblicata su punto.it