Recentemente, le autorità sanitarie del Sud Sudan e del Malawi hanno riferito che, rispettivamente, 60 mila e 16 mila dosi del vaccino Oxford-AstraZeneca, donate ai due Paesi dall’Unione africana (Ua), sono scadute prima di poter essere utilizzate. A fine aprile, anche la Repubblica Democratica del Congo ha riconsegnato dei lotti, per impossibilità di inoculare le dosi prima della scadenza. Questa notizia ha prodotto un forte livello di scetticismo nel mondo occidentale, nei confronti degli appelli per una salute globale ed un accesso equo ai vaccini, che riconosce nel sostegno vaccinale al continente africano, oltre che ad un dovere morale, i motivi utilitaristici collegati ad un efficace blocco della pandemia a livello globale. Si tratta di un’inefficienza del sistema africano o c’è qualcosa in più? Proviamo a spiegarlo con Githinji Gitahi, Global CEO di Amref Health Africa, Roberta Rughetti, Direttrice Programmi di Amref Health Africa in Italia, e Jacopo Rovarini, operatore di Amref Health Africa in Sud Sudan.
È necessario sottolineare che diversi fattori influenzano l’efficacia dei piani vaccinali nei Paesi africani. Primo tra questi, la data di scadenza dei vaccini a disposizione. “A molti Paesi africani giungono diversi lotti prossimi alla scadenza, poiché scartati dai Paesi ad alto reddito”, spiega Roberta Rughetti. “Mentre i primi ricevono i vaccini in donazione, e non possono avanzare pretese sul tipo o sulla validità degli stessi, i secondi, essendo acquirenti, impongono certe condizioni al loro acquisto – come, ad esempio, l’assenza di lotti a scadenza ravvicinata nel proprio ordine”.
Basti pensare al caso del vaccino Oxford-AstraZeneca: a poche ore dall’insorgere dei primi dubbi riguardanti la sua sicurezza, un’altissima percentuale di Paesi occidentali ha sospeso l’utilizzo di questo vaccino per giorni o addirittura settimane. “La sospensione è stata un lusso reso possibile dal fatto che nella maggior parte dei Paesi occidentali ad alto reddito si acquistano lotti a scadenza nel medio-lungo periodo”, continua Rughetti.
Ovunque, nel mondo, un lotto scaduto viene distrutto o restituito al mittente. Perché l’Africa dovrebbe operare diversamente?
“Alla luce dei ritardi nella campagna vaccinale, delle criticità del sistema sanitario locale – inclusa la catena del freddo – e dello stress aggiuntivo procuratogli dalla pandemia” dichiara Jacopo Rovarini, “è necessario investire più risorse ed energie per far funzionare un programma di vaccinazione così complesso, invece di creare maggiori difficoltà e restrizioni temporali donando vaccini prossimi alla scadenza”.
Amref Health Africa ha inoltre recentemente presentato diverse richieste a governi, produttori di vaccini e altri decisori politici. Tra queste, la domanda di garantire sostegno agli appelli di India e Sud Africa per la rinuncia temporanea ai diritti di proprietà intellettuale delle società farmaceutiche per le tecnologie e i prodotti anti-COVID-19. “Per vaccinare un singolo individuo servono circa 15 dollari”, spiega Githinji Gitahi, Global CEO di Amref Health Africa, “quindi quasi la metà della spesa annuale per l’assistenza sanitaria pro capite di un Paese a basso-medio reddito come il Kenya. I governi africani non acquistano i vaccini perché non possono permetterselo, ma le cure contro le pandemie dovrebbero essere un bene pubblico globale, accessibile a tutti. Per questo ritengo assolutamente necessario che vengano rimossi i brevetti sui vaccini contro il Coronavirus, come richiesto da India e Sud Africa”.
Nella contesa tra proprietà intellettuale e diritto globale alla salute, il 7 maggio 2021, anche il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, ha squarciato un velo, avanzando la proposta di sospendere temporaneamente i diritti sui vaccini anti COVID-19.