Il riscaldamento globale non è più una questione puramente ambientale, ma una crisi che minaccia la sopravvivenza delle persone e delle comunità. Nonostante ciò, le strategie di azione climatica adottate dai governi africani, come delineato nei Contributi Nazionali Determinati (NDC), si concentrano prevalentemente sulla riduzione delle emissioni di gas serra. Sebbene questa priorità sia fondamentale a livello globale, non risponde ai bisogni più urgenti delle comunità africane, che sono tra le più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. Per molti cittadini africani, è difficile comprendere perché i propri leader puntino su obiettivi di riduzione delle emissioni, già molto basse, invece di affrontare emergenze immediate come siccità, inondazioni e crisi sanitarie.

Mitigazione e adattamento: due facce della stessa medaglia?
La mitigazione, che comprende strategie come l'uso di energie rinnovabili, l'efficienza energetica e la riforestazione, è una componente cruciale nella lotta contro il cambiamento climatico a livello globale. Tuttavia, in Africa, dove le emissioni di carbonio sono minime, l'orientamento verso misure di mitigazione non sembra adattarsi alle necessità urgenti dei Paesi locali. Questo fenomeno potrebbe essere definito come un “senso di colpa per le emissioni distribuite”, in cui i leader africani seguono un’agenda climatica ispirata da quella delle nazioni industrializzate, anziché sviluppare politiche basate sulle sfide concrete delle loro popolazioni. Il risultato è un piano che punta a ridurre emissioni insignificanti, mentre non vengono affrontate le problematiche fondamentali, come la sicurezza alimentare, la gestione delle risorse idriche e la creazione di infrastrutture sanitarie resilienti.

Il paradosso delle cifre: un'analisi delle emissioni
Prendiamo come esempio la Repubblica Democratica del Congo (RDC), dove le emissioni pro capite sono di soli 0,04 tonnellate metriche di carbonio. Per eguagliare le emissioni di un cittadino di un Paese ad alto reddito come gli Stati Uniti, la persona congolese dovrebbe emettere quella stessa quantità di CO2 per più di 400 anni. Eppure, il piano climatico della RDC prevede una riduzione delle emissioni del 2% entro il 2030, con obiettivi condizionati del 21%. Il costo per attuare queste misure di mitigazione è di 25,6 miliardi di dollari, una cifra che supera i 23 miliardi destinati alle misure di adattamento, che sono più urgenti per il Paese.

Un altro esempio significativo è quello dell’Etiopia, dove le emissioni pro capite sono di 0,2 tonnellate metriche. Nonostante ciò, il governo punta a una riduzione del 68,8% delle emissioni entro il 2030. Dei 316 miliardi di dollari previsti per le azioni climatiche, ben 275,5 miliardi sono destinati alla mitigazione, mentre solo 40,5 miliardi sono dedicati all’adattamento. Questo squilibrio non risponde alla necessità di investire in infrastrutture resilienti nei settori della salute, dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari, fondamentali per proteggere milioni di persone da alluvioni e siccità.

Anche in Paesi come Malawi, Zimbabwe e Uganda, la priorità data alla mitigazione lascia scoperte le necessità immediate delle popolazioni più vulnerabili, che riguardano la sicurezza alimentare, la gestione dell’acqua e la protezione della salute pubblica.

Superare un’agenda climatica imposta
L’enfasi sulla mitigazione in Paesi africani, che contribuiscono in misura esigua alle emissioni globali, evidenzia l’insufficienza di un approccio che non considera le reali priorità locali. È necessario un ripensamento delle strategie climatiche, che deve partire dalla tutela delle persone e dalla resilienza delle comunità. La crisi climatica, infatti, non riguarda solo la riduzione delle emissioni, ma la sopravvivenza quotidiana delle persone. Servono politiche che si concentrino sulle necessità immediate di protezione e supporto per le popolazioni vulnerabili, in particolare per affrontare i crescenti rischi sanitari, la scarsità di acqua, il cibo e la perdita di reddito.

Le priorità per un'Africa resiliente
Un approccio più centrato sulle persone dovrebbe prevedere misure concrete per:

  • Rafforzare i sistemi sanitari per fronteggiare le malattie legate al cambiamento climatico, come malaria, dengue e patologie respiratorie.
  • Potenziare le infrastrutture idriche e igienico-sanitarie, per resistere a siccità prolungate e piogge imprevedibili.
  • Promuovere l’agricoltura sostenibile, con l’uso di colture resilienti, agroforestazione, tecniche di irrigazione avanzate e sistemi di allerta precoce.
  • Implementare programmi di protezione sociale per supportare le comunità vulnerabili durante gli shock climatici.

Investire in adattamento porta vantaggi a breve e lungo termine. Secondo la Global Commission on Adaptation, ogni dollaro investito in sistemi di allerta precoce, infrastrutture resilienti e agricoltura sostenibile può generare un ritorno di 4 dollari. Tecnologie come l’irrigazione solare e colture resistenti al clima potrebbero, ad esempio, prevenire una riduzione del 30% della produzione agricola globale entro il 2050.

La richiesta di un sostegno globale
I Paesi africani non possono sostenere da soli il peso dell’adattamento climatico. È essenziale che i Paesi ad alto reddito, che sono i principali responsabili delle emissioni globali, forniscano supporto finanziario e tecnologico. Durante la COP29 a Baku, i leader africani devono unire le forze per chiedere un finanziamento sostanziale e immediato per attuare azioni di adattamento urgenti.

Con la revisione degli NDC prevista per il 2025, l'Africa ha l’opportunità di rimodellare le sue politiche climatiche, spostando il focus verso l’adattamento e selezionando interventi di mitigazione che possano apportare benefici diretti. Continuare a perseguire un’agenda globale incentrata sulla riduzione delle emissioni non solo distoglie l’attenzione dalle necessità critiche dell’Africa, ma perpetua una grave ingiustizia climatica.

Un'azione climatica centrata sulle persone è la chiave per salvaguardare il futuro dell’Africa, proteggendo le vite, i mezzi di sussistenza e costruendo sistemi resilienti in grado di affrontare le sfide che ci attendono.

di Dr. Githinji Gitahi, direttore globale di Amref Health Africa