L’Etiopia, che riveste un ruolo fondamentale nel contribuire alla stabilità di tutta l’Africa orientale, accogliendo nei propri confini 800mila rifugiati eritrei, sud-sudanesi e somali, rischia di scivolare verso un preoccupante conflitto.
Mercoledì 4 novembre, infatti, il Primo Ministro etiope e Premio Nobel per la pace, Abiy Ahmed, ha ordinato all’esercito di iniziare un’offensiva militare contro il governo del Tigrè, una delle dieci regioni che formano l’Etiopia, e ha imposto lo stato di emergenza sul territorio regionale per sei mesi.
La decisione di Abiy è arrivata “dopo oltre due anni di tensione tra il governo centrale di Addis Abeba e il governo dello stato del Tigrè”, come spiega Mario Raffaelli, Presidente di Amref Health Africa-Italia ed ex-inviato speciale del Governo per il Corno d’Africa, intervenuto a Radio3 Mondo.
Infatti, “questo è il punto culminante di una tensione cominciata nell’aprile del 2018, quando Abiy Ahmed è stato nominato Primo Ministro. La sua nomina ha introdotto una nuova visione nella politica etiope e chiarito che gli equilibri politici vigenti nel Paese dalla fine della guerra di liberazione, nel 1991, sarebbero cambiati” continua Raffaelli.
La sua vittoria ha infatti rappresentato una novità rispetto all’intera storia politica nazionale, caratterizzata dalla preminenza delle etnie dominanti dei Tigrini e degli Amhara, e il TPLF (Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè) che, pur rappresentando solo il 6% della popolazione aveva tenuto saldamente la barra del potere fino a quel momento, è stato di fatto esautorato.
Ciò che ha esacerbato le preesistenti tensioni, spingendo la situazione ad un punto di non ritorno, secondo Mario Raffaelli, è stato il rinvio delle elezioni parlamentari di quest’anno.
“Il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè ha infatti annunciato l’intenzione di ignorare la decisione del governo di rinviare le elezioni parlamentari a causa dell’emergenza Coronavirus e di voler proseguire con il processo elettorale, e così è stato”, spiega Raffaelli. “Abiy Ahmed l’ha considerato un atto di rottura inaccettabile e, dopo il disconoscimento delle elezioni di settembre, è stata la decisione del governo centrale di tagliare i fondi al Tigrè, che ha definito l’iniziativa ‘un atto di guerra’ e ha annunciato di non riconoscere più l’autorità del governo centrale”.
“Una crisi etiopica avrebbe degli effetti immediati negli altri paesi del Corno d’Africa”, conclude Raffaelli.
Infatti, una guerra civile potrebbe fungere da volano per simili processi in altri Paesi. Inoltre, l’intensificarsi delle tensioni tra Governo e Tigrini potrebbe ostacolare il processo di pace tra Eritrea ed Etiopia, recentemente rilanciato dalla diplomazia di Abiy e concentrato sulla risoluzione della disputa confinaria del villaggio di Badmè, proprio nella regione del Tigrè.
Papa Francesco segue con preoccupazione le notizie che giungono dall’Etiopia, e dopo la preghiera dell’Angelus – domenica 8 novembre – è intervenuto così: “Mentre esorto a respingere la tentazione dello scontro armato, invito tutti alla preghiera e al rispetto fraterno, al dialogo e alla ricomposizione pacifica delle discordie”.
Intanto, le Organizzazioni della Società Civile di cooperazione allo sviluppo e solidarietà internazionale italiane – realtà di cui Amref è parte – rappresentate da AOI, CINI e Link2007, operative in Etiopia con personale espatriato e locale per la realizzazione di programmi finanziati anche dalle Nazioni Unite, dall’Unione Europea e dal Governo italiano, chiedono che la comunità internazionale si attivi per una immediata risoluzione pacifica dei conflitti prima che esploda una vera e propria guerra civile.
In particolare, ritengono che l’Italia abbia un importante legame storico, culturale ed economico con l’Etiopia e pertanto auspicano che il Governo italiano si attivi rapidamente per offrire la propria disponibilità per una efficace mediazione fra le parti coinvolte che scongiuri ulteriori escalation militari.